LAPIDUM ASSESSORES

appunti di viaggio di Pio Salvatore Basso
addì Mercoledì 4 Febbraio, A.D. 2004

Il freddo marmo, se opportunamente "trattato" (Michelangelo, Leonardo, Canova, e chi più ne ha, più ne metta) può trasmettere il "calore" di un ingegno, di uno studio, di un lavoro, di una emozione. Un "freddo" marmo, invece, ha forse "scaldato" un altrettanto freddo inverno militellese.

Governo locale, amici, asimpatizzanti, sono stati recentemente rinvigoriti dalle giuste ed ovvie contrapposizioni sorte con il "freddo" marmoreo suggello per l'ingresso della Civitas nel novero dei "siti" (o forse... "loculi", stante il "marmo") protetti dall'Unesco. Ma lo meritiamo veramente?

Siamo "in" o "nel"... Siamo con Catania, o con Noto? Qualcuno, a questo punto, potrebbe trovare anche lo spunto, forse, per un futuro "Vallo di Caltagirone"!

Era il lontano 1956 (54?) e nella Arcipresbiteriale Matrice Chiesa dei Patroni della Città (S. Nicolò-SS. Salvatore), veniva perpetrato uno dei più nefasti crimini avvenuti a Militello negli ultimi cinquant'anni, perlomeno dal punto di vista dei parrocchiani della… vittima, cioè la Chiesa di Santa Maria della Stella, Principale Patrona. Per i particolari invitiamo i lettori a documentarsi consultando i manuali di storia locale.

Anno 2004: i corsi e i ricorsi storici hanno imbandito sulla regale tavola del nostro Comune una nuova querelle degna della solida tradizione militellese. Dopo le ubriacature susseguenti al ridondante conferimento di Patrimonio dell'Umanità, poteva esimersi, la nostra Amministrazione Municipale, dall'esporre, sull'esempio degli altri sette nobili Comuni, parimenti insigniti dell'alloro dell'UNESCO, una bella lapide commemorativa a futura memoria? Assodata la necessità, non soltanto ornamentale, di far incidere sul freddo marmo le motivazioni che hanno portato all'augusto blasone appena ricevuto, si è sviluppato subitaneamente un acceso dibattito relativo alle parole, per così dire, più acconce, da immortalare sull'ampio lastrone.

A beneficio dei lettori dobbiamo spiegare che l'inserimento di Militello nella cosiddetta World Heritage List era stata una delle più sfibranti battaglie che dal 1997 aveva visto impegnato l'assessore alla Cultura della Giunta uscente (già uscita), il quale, praticamente da solo, ribaltando l'atroce destino donchisciottesco che sembrava caratterizzare i suoi sforzi, riusciva ad abbattere i mulini dietro i quali si paravano alcuni grossi centri del Val di Noto, riuscendo a fare accettare il nostro Comune nell'arengo dei siti meritevoli dell'attenzione dell'ONU.

Precedentemente all'esposizione della lapide, i soliti bene informati dell'opposizione (ché, come si sa, c'è sempre una opposizione, per cui la destra, secondo contratto, deve sempre contestare quello che fa la sinistra, e la sinistra, grazie allo stesso contratto, deve sempre contestare quello che fa la destra) hanno cominciato a bofonchiare, prima sommessamente poi con maggiore veemenza, sul lessico e sui contenuti più adeguati che stavano per essere scolpiti sul rigido lenzuolo di marmo.

Insomma, il cadaverico contenuto a molti appariva indigesto e non in linea con certe correnti di pensiero, che oggi si definirebbero politicamente corrette. Ciò nonostante, come sempre è accaduto, la forza di governo (di quale colore politico essa si ammanti non ci interessa) è andata diritta per la sua strada. In pompa magna ha proceduto ad installare e quindi a svelare l'artistico manufatto, che da sabato 31 Gennaio si offre ai cittadini in tutto il suo terreo pallore.

Tutti si chiederanno a questo punto quali sono i termini del contendere, che cosa ha scatenato le ire e le proteste dei contestatori. Analizziamo il testo, che qui si ripropone nella sua interezza:

LE OTTO CITTA' DELLA SICILIA SUD-ORIENTALE

CALTAGIRONE, CATANIA,

MILITELLO NEL VAL DI CATANIA, MODICA,

NOTO, PALAZZOLO ACREIDE, RAGUSA E SCICLI

SONO STATE RICOSTRUITE

DOPO IL TERREMOTO DEL 1693

NELLO STESSO LUOGO

O NELLE VICINANZE DEI SITI DISTRUTTI.

ESSE RAPPRESENTANO UN'IMPORTANTE INIZIATIVA

COLLETTIVA, PORTATA A TERMINE OTTENENDO UN

LODEVOLE LIVELLO, ARTISTICO ED ARCHITETTONICO.

COMPLETAMENTE CONFORMI ALLO STILE DELL'EPOCA,

LE CITTA' HANNO APPORTATO

DELLE INTERESSANTI INNOVAZIONI NEL CAMPO

DELL'URBANISTICA E DELL'ARCHITETTURA.

DATA 31-01-2004

VITTORIO MUSUMECI - SINDACO

Prima considerazione: da quando in qua Militello non è più in, ma soltanto nel? Qualcuno, particolarmente ferrato in grammatica, potrebbe obiettare che sempre di una preposizione si tratta, ma la sua puntualizzazione avrebbe pochi ascoltatori entusiasti. Può un assessore arbitrariamente sostituire, o meglio, incidere nero su bianco (il bianco della lapide, naturalmente), una semplice preposizione, dopo una militanza ininterrotta di quasi un secolo e mezzo? Prima, auspice Giuseppe Garibaldi che ce l'aveva a morte col Borbone (o si dice "coi Borboni"?), ci hanno defraudato dell'appartenenza al Val di Noto (storicamente maschio) con l'invenzione di una inesistente Valle (o Val) di Catania (e la Piana dove è andata a finire?). Adesso continuando la demolizione, fanno sparire un'altra parola. I nostri pronipoti rischiano veramente grosso: un giorno, con la scusa dello spopolamento, il nostro paese rischia di divenire Mortarello (in Valle di Lacrime).

Seconda questione: perché mai il solito assessore, sempre in rappresentanza dell'Amministrazione Comunale, non ha ritenuto di adeguarsi al testo adottato dagli altri sette Comuni? Non doveva fare altro che ricopiare pedissequamente, nel rispetto della punteggiatura, della sintassi e della terminologia. Ebbene, costui che cosa ti va ad inventare? Parla di "lodevole livello artistico e architettonico nel campo dell'urbanistica e dell'architettura", con l'aggravante di glissare sulla magica parola da tutti incondizionatamente osannata: "barocco"! Più falso di così! Lo sanno tutti che gli otto Comuni stanno cadendo a pezzi e che quindi non è più possibile scovare, se mai ve ne fosse sentore, la benché minima testimonianza di eccellenza artistica nei pseudo-monumenti. Affermare poi l'esistenza di un univoco stile architettonico è veramente ridicolo, infatti non c'è alcun paragone tra i monumenti degli otto augusti centri. Storici dell'arte ed esperti del settore, naturalmente sotto la supervisione dell'UNESCO, hanno già codificato i tipi di barocco esistenti, che hanno una loro ben definita denominazione. Avremo (abbiamo) così, in riferimento all'area di provenienza, un barocco ragusano (come il formaggio), un barocco sciclitano (o di Montelusa, Camilleri docet), un barocco modicano (il famoso "barocco del ponte"), un barocco calatino (o "stagnatu"), un barocco catanese (marca "Liotru"), un barocco palazzolese (certuni lo chiamano "acreste", proprio con la "c"), un barocco di Noto (o "precipitato") e, dulcis in fundo, un barocco militellese (o "bastardone"). Senza dimenticare l'identificativo "tardo" (e non ritardato, secondo la errata interpretazione di qualche malevolo, perché nessuno si sognerebbe di parlare di barocco ritardato!), che starebbe per ultimo residuo, una specie di colpo di coda artistico.

Ma tutto questo è nulla in confronto all'ultimo e più spinoso problema sollevato dal volgo: la firma del primo cittadino sulla nostra cara e liscia lapide. Se per alcuni il problema non sussiste (stiamo parlando dei fedelissimi del capo dell'Amministrazione), per molti sarebbe stato meglio scrivere semplicemente "Il Sindaco" (fedeli, ma non troppo), per altri ancora "L'Amministrazione Municipale" (equidistanti con riserva), per altri ancora bastava la semplice data (minimalisti), per non parlare di quelli che non sanno che farsene di un così grandioso e glaciale affresco (agnostici).

In tutto questo bailamme lapideo, comunque, le uniche vittime accertate e insoddisfatte sono state le zelanti figure degli operatori incaricati di affiggere le determinazioni e le deliberazioni municipali. Per far posto all'immane marmaccio, punteggiato dalle risuonanti parole in neretto che tanta agitazione e polemiche hanno portato nella nostra città, sono state sfrattate tutte le bacheche comunali, anch'esse gloriosamente fissate per decenni nell'androne del Palazzo Municipale. La rivoluzione della lapide le ha ingloriosamente dirottate nelle scale di accesso al piano nobile, creando evidente disagio a chi è costretto ad aprirle giornalmente per depositarvi gli atti ufficiali. Così non è infrequente vedere costoro saltellare affannosamente da un punto all'altro delle scale in questione, armati di un campionario di imprecazioni, queste sì, da annoverare nel Patrimonio dell'Umanità.

Ma questa è un'altra storia, sopra la quale, se ce lo consentite, preferiamo mettere una pietra (... tombale).

 

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