Namasté, ovvero... La mia anima
rende onore alla tua anima
appunti di viaggio di Brigida Fagone
addì mercoledì 23 luglio, A.D. 2008
Namasté è una
parola Hindi che deriva dal sanscrito. Letteralmente significa "mi
inchino a te", ma unita al gesto di congiungere i palmi delle mani,
portandoli all'altezza del petto o della fronte, eventualmente chinando
il capo, significa pressappoco "la mia parte divina rende onore alla tua
parte divina", per sottolineare la spiritualità di ognuno di noi, che
non è secondaria alla parte corporea.
Non so il perché, o forse lo so
fin troppo bene, ma questa è l'espressione che, con tutto il suo bagaglio
incredibile di significati, mi rimbombava più spesso nella testa la sera, quando
vedevo al telegiornale i monaci tibetani picchiati con le canne di bambù e
caricati di peso sulle camionette dai soldati cinesi; e poi, nelle settimane
seguenti, la marcia trionfale della fiaccola olimpica trasformata in qualcosa di
molto simile a un calvario.
Che il governo cinese calpesti
brutalmente i diritti umani è cosa risaputa. Però non si può dire. Nemmeno il
Papa può dirlo, se non in modo molto timido. I cadaveri delle neonate cinesi
abbandonate sui marciapiedi, in prossimità dei cassonetti dell'immondizia,
meritano l'indifferenza dei passanti, in ossequio a una politica crudele di
controllo delle nascite che ha reso l'aborto una pratica obbligatoria,
anestetizzando le coscienze. Ma questo è il prezzo da pagare, per consentire il
più rapidamente possibile l'accesso alla "modernizzazione" di un paese
sterminato, dall'anima ancora arcaica, che sta ammorbando il mondo con i suoi
prodotti di scarsa qualità, se non addirittura inquinati o contaminati, per via
della più totale assenza di norme igieniche.
Comunque, è riguardo alla
questione del Tibet che Pechino ha mostrato il suo volto più duro, per di più
intimando all'Europa di farsi gli affari suoi, giacché il governo cinese avrebbe
avuto la capacità di risolvere un problema di politica interna, senza che nessun
paese straniero e nessuna organizzazione internazionale avessero il diritto di
interferire.
Ma poi, con un tempismo da
lasciare senza fiato, è arrivato il terremoto, catastrofico e devastante, e la
Cina ha avuto bisogno dell'aiuto del mondo intero. Qualcuno ha detto che il
terremoto fosse una sorta di punizione divina. Certe cose si pensano, ma non si
dicono. Ognuno di noi ha i suoi tempi di crescita, e se questo è vero per gli
individui è altrettanto vero anche per le organizzazioni statali.
Io, preferisco sospendere il
giudizio.
Mi auguro però che nella "moderna"
Cina ci si renda conto di qualcosa che nel progredito occidente postmoderno è
ormai sotto gli occhi di tutti, o quasi. E cioè che non ci si può più permettere
di analizzare il mondo in parti esistenti in maniera separata e autonoma, ed è
pura illusione cercare di raggiungere il nostro bene personale, andando contro
il bene comune o, anche soltanto, ignorandolo. Gli effetti di questa mentalità
sono fin troppo evidenti e ci hanno creato malessere e infelicità, avvelenando
tutto ciò che ci circonda, dall'ambiente fino ai rapporti interpersonali.
Vorrei farmi promotrice di una
iniziativa che è perfettamente in linea con lo spirito pacifico che da sempre
caratterizza il popolo tibetano e il suo capo spirituale, il Dalai Lama, fautore
di una politica illuminata che nessuno può ragionevolmente mettere in dubbio,
nonostante i tentativi da parte di Pechino di gettarvi ombre.
In virtù di tale attitudine
pacifica, sono convinta, come la maggior parte dei paesi del mondo, che non
sarebbe servito a nulla boicottare le Olimpiadi, se non a inasprire i termini di
un conflitto già abbastanza drammatico. La Cina oggi sta investendo tantissimo
su un evento che rappresenta una sorta di vetrina della sua "modernizzazione".
Inoltre, nessuna nazione dovrebbe mancare a un appuntamento così importante che
celebra lo spirito agonistico e sportivo, e i valori umani più elevati a esso
connessi. Ben vengano quindi tutte le iniziative di dialogo che si stanno
tentando in questi giorni fra il governo di Pechino e i rappresentanti del
governo tibetano in esilio. A meno che non siano soltanto espedienti da parte
della Cina per perdere tempo e arrivare in qualche modo alla data fatidica delle
Olimpiadi.
È senz'altro auspicabile che le
rappresentanze atletiche nazionali al completo vadano a sfilare in maniera
composta alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici, prevista per l'8 agosto
di quest'anno, però recando un segno evidente di cordoglio, come ad esempio una
fascia nera sul braccio, per la sofferenza del popolo tibetano.
E, magari, anche congiungendo i
palmi delle mani e portandoli all'altezza del cuore o della fronte:
"Namasté!", ovvero, la mia
anima si inchina alla tua. |