- Cosa servirebbe
all'intera cittadinanza, dunque, per invertire l'attuale trend
negativo?
«Occorrono modelli di sviluppo organico, competenze specifiche,
politiche culturali e della formazione. Ai quartieri non devono
essere solo date declaratorie dell'Unesco. La politica e le istituzioni devono
uscire dalla transazione. L'etica e il senso civico dovrebbero
affermarsi tra la gente e per la gente. Ma si tratta di un'impresa
assai difficile, se non quasi impossibile. Almeno in questa fase
storica. Senza cultura di governo al Municipio, purtroppo, non si
ottiene alcun risultato».
- Oltre agli strumenti
e ai presupposti, in base al suo giudizio, mancano pure gli uomini?
«Solo una classe
dirigente preparata, capace di confrontarsi con un linguaggio chiaro
e con l'ausilio di valori comuni, in grado di rispettare le leggi e
le regole, può impegnarsi in una missione proficua per Militello. Ma
la verità è un'altra… L'attuale parentesi è segnata da una classe
dirigente rozza e mercantile, in perfetta linea con lo stile berlusconiano, che ha inciso negativamente sugli ultimi anni. Si è
creato, purtroppo, un vuoto pericoloso tra il Palazzo e la società
civile. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti».
- In tanti parlano di
scarso dialogo: c'è il pericolo di una politica oscura e autoreferenziale?
«Al Municipio
servono altre energie e dirigenti di nuovo livello. Tutti dovrebbero
mettersi in discussione. Dalla Giunta al Consiglio comunale occorre
un'analisi coraggiosa e forse anche impietosa sullo stato di
Militello. Prevalgono, invece, sterili e personali celebrazioni di
politici. Anche il Centrosinistra dovrebbe cambiare atteggiamento,
individuando un percorso differente in seno al civico consesso. Ma
spesso prevalgono incomprensioni e rancori personali, oltre a
interessi di diversa natura».
- I partiti accusano
una crisi acuta. Perché cresce la disaffezione della gente dalla
politica?
«Il distacco è il
sintomo palese di una perdita di consenso, oltre che di credibilità.
Non ci sono nemmeno messaggi di fiducia e speranza da parte di chi
governa. Il Centrodestra, dopo il successo elettorale, si è
sottratta al dovere di progettare il futuro del paese. Nessuno
interpreta l'esigenza di rilanciare i valori importanti e condivisi.
Cresce così il declino e la miopia di chi dovrebbe intervenire con
azioni proficue. Chi sperava nella svolta istituzionale, dopo tanti
proclami, purtroppo è rimasto deluso».
- Iter complessi,
servizi inefficienti, politici mediocri: esistono anche colpe di
privati?
«La realtà passa
pure da una modesta cultura civica. Non esistono apprezzamenti per i
meriti e per le capacità di chi potrebbe investire sul territorio,
rinunciando anche a benefici immediati. In questa terra ci sono
troppi sacerdoti tristi. Donne e uomini brillanti, soggetti capaci
di assumere una guida trasparente e legata a scopi comuni, restano
invece ai margini di ogni processo di riscatto. Nei partiti, nei
sindacati, nelle imprese e nella pubblica amministrazione dovrebbe
prevalere questo nuovo spirito. Finora manca il valore aggiunto di
un paese che funziona in modo competitivo e integrato».
- La democrazia
partecipata è una chimera. Perché la politica pensa spesso solo
all'effimero?
«Per troppo tempo è
prevalsa la rincorsa al feticcio dell'immagine. Chi guida la città
e chi si candida a governarla, invece, dovrebbe rendersi conto che
l'apparire è solo una delle molteplici funzioni della pubblica
responsabilità. Linguaggi e atteggiamenti dovranno tornare ad essere
tarati su un agire operoso e concreto. Serve gente che conosca i
problemi, li studi nei dettagli e sappia risolverli. Non bisogna
dimenticare, infatti, che risorse insperate e spesso nascoste si
muovono. Ceti colti ed informati si scambiano opinioni, maturando
posizioni insospettabili. Con questa porzione del paese, bisognerà
fare i conti. Non ho dubbi: i militellesi saranno giudici implacabili
verso chi li ha amministrati».