LE MIE NON SONO CANZONI
PER "RAGAZZINE"
di
Alfonso Magno
Giovedì 7 Settembre 2006
HO ricevuto DAI MALATI
DI MENTE PIù di quanto abbia io dato loro
Simone Cristicchi,
cantautore romano, classe 1977. Una sua canzone diventa il
"tormentone" estivo del 2005: "Vorrei cantare come Biagio". L'Antonacci
che il Nostro assume come esempio di musica destinata ad un target
molto particolare.
Simone si sente
diverso. È diverso. Non è banale. La sua è una musica per pochi, ma
nello stesso tempo molti. Il suo non è un "concerto", ma uno
spettacolo. Il "distinguo" è sottile, ma palese. È voler comunicare
veramente qualcosa al pubblico, al "suo" pubblico che inizia ad
amarlo ed apprezzarlo. Le sue, però, non sono "canzoni d'amore". È
facile conquistare le folle con canzoni d'amore. Non canta per
"vendere", ma per raggiungere le più alte vette auliche della
canzone d'autore, quella con la "a" maiuscola. Quelle vette che solo
pochi cantAutori sono riusciti a scalare... incompresi, o meglio,
compresi troppo tardi.
In lui non c'è
banalità, ma desiderio di imparare e di preservare l'originalità che
c'è in ognuno di noi. Ci conduce per mano nel suo mondo, che può e
deve diventare il "nostro" mondo. È sensibile e ce lo dimostra in
fine intervista.
- Simone Cristicchi,
romano de Roma, con la passione del fumetto e del disegno. Jacovitti
"docet"! Come nasce il Simone Cristicchi cantautore?
«Nasce in una
maniera particolare. Ero stato rimandato alle "superiori" in due
materie e sono stato costretto a passare la "mia" estate di ragazzo
senza andare in vacanza; quindi... per trovare il modo per passare
il tempo ho trovato una chitarra in soffitta ed ho cominciato a
strimpellare. Poi, leggendo il "Millenote" che è quel "librone" con
tutti gli accordi e sopratutto i testi delle canzoni, ho scoperto il
mondo dei cantautori, i "nostri" cantautori... i "padri" della
canzone d'autore. De Gregori, De Andrè, Endrigo, Paoli, Tenco, Bindi,
Rino Gaetano, Battiato, eccetera, ho cominciato a scoprire i testi
delle canzoni. Nel testo di una canzone ci può essere una
"profondità"! Non è vero che è tutta "musica leggera"! A volte nel
testo c'è anche la possibilità di comunicare con le persone, di
comunicare anche dei messaggi importanti. Quello è stato il momento
in cui ho deciso di cimentarmi con la musica e le canzoni.»
- Ti abbiamo visto sul palco e lo hai confermato pocanzi: sei un grandissimo
appassionato della musica d’autore: Fossati, Conte, Endrigo, il
catanese Battiato ed altri ancora. Da dove arriva, invece, la tua
ispirazione?
«La mia ispirazione
arriva in particolare da Giorgio Gaber. Il mio sogno è fare degli
"spettacoli"; non dei concerti "elettronici"! Mescolare il teatro e
la canzone, in questo modo utilizzare due modi per comunicare, due
valvole di sfogo:
sia la musica che il monologo. Una canzone "allungata", "allargata",
senza confini, senza un "minutaggio" ben preciso. Ci sono riuscito
perché ho creato una spettacolo, che non è quello di stasera di
Militello... uno spettacolo teatrale che si chiama "Centro di Igiene
Mentale" dove io racconto delle storie di "matti" dei malati di
mente; storie vere, di persone con cui ho convissuto per tre anni.
Racconto la storia dei manicomi, sino alla Legge 180. Poi vado oltre
il manicomio ed i matti... che giornalmente possiamo incontrare per
le strade».
- Posso definirti un
cantautore ironico che canta fuori dal coro? Mi spiego meglio: in
"Vorrei cantare come Biagio" attacchi palesemte l'industria discografica! Quell’industria discografica che spesso annulla la vera creatività
degli autori. Per non parlare poi di “Fabbricante di canzoni” e
“Ombrelloni”. Quali sono i tuoi rapporti col Mangiafuoco di
bennatiana memoria?
«Bisogna stare
molto attenti perché si rischia a volte di snaturare la propria
essenza, la propria personalità. Invece credo che sia quello il
vero talento: preservare la nostra originalità, la nostra unicità.
Ognuno di noi è un'opera d'arte irripetibile, non altrimenti
ottenibile. Dentro di noi c'è un talento; ognuno ce l'ha. Avere a
che fare con i "fabbricanti" di canzoni che sono quelli che invece
tentano in maniera subdola di costruire delle canzoni a tavolino pur
di vendere dei dischi... purtroppo è capitato a me, capita a molti
giovani di avere a che fare con queste persone. Questo è il vero
pericolo. Lì hai a che fare con il mercato, hai a che fare con gente
che in realtà pensa che la massa sia stupida, quando invece è tutto
il contrario!»
- E la "major" come
accetta questo?
«Devo dire che la
mia casa discografica, la Sony Bmg, ha pubblicato il mio album così
come io lo consegnato, con mia grande soddisfazione ed anche
sorpresa. La cosa positiva e che l'album, pur essendo prodotto da
una multinazionale, ha vinto numerosi premi prestigiosi della
critica: Premio Gaber, Premio Rino Gaetano, Premio Carosone,
l'ultimo il premio come miglior album di debutto, il valore musicale
e letterario dei testi. Mi fermo perché non voglio lodarmi più di
tanto. Questo per farti capire che a volte anche una major può in
qualche investire su qualcosa di coraggioso».
- Com’è nato il
tormentone “Biagio”?
«Il tormentone
"Biagio" è nato, per assurdo, in un momento di grande sconforto e
tristezza. È una canzone per me molto drammatica, quasi triste,
malinconica, ha un "retrogusto" quasi alla Charlie Chaplin. Parla di
un'impotenza, l'impotenza dei giovani che non hanno visibilità, non
hanno spazio oggi per potersi esprimere e che si devono confrontare
con questi mostri sacri, costruiti a volte anche loro a tavolino,
questi fenomeni da baraccone costruiti dall'industria che in qualche
modo sono creati per vendere ad un certo tipo di persone... alle
ragazzine! Ecco perché io li chiamo i "pedofili", "pedofili
musicali". Perché vanno proprio dietro a ciò che piace alle
ragazzine. "Vorrei cantare come Biagio" parla di questo, del fatto
che molti spesso tendono ad imitare, a prendere come modello un
altro. Vediamo trasmissioni come "Amici", per esempio... non c'è uno
che canti in maniera originale! Imitano... quello Tiziano Ferro,
quella Laura Pausini, quella Giorgia. Ecco... così non si creano
talenti, non si migliorano i talenti, ma si imita qualcun'altro».
- Perché proprio
Antonacci e non, per dire, Baglioni? Spariamola grossa!
«Perché Biagio è il
Baglioni del duemila; è il romanticone per eccellenza; è il
cantautore che fa piangere le ragazze, scrive perlopiù canzoni
d'amore ed è il mio esatto opposto. Forse è per questo che l'ho
scelto; inconsciamente vedo in lui quello che io non vorrei fare,
non vorrei essere. Se proprio volessi assomigliare a qualcuno, te lo
dicevo prima, allora uno come Giorgio Gaber o uno con l'ironia di
Rino Gaetano.»
- Sei un cantautore
dai due volti: irriverente e ironico, ma anche poetico ed
osservatore dei sentimenti. Qual è il vero Cristicchi?
«Tutt'e due.
Anzi, più di questi due! Infatti il mio album lo definisco una
"macedonia del pop", nel senso che ci sono diversi pezzetti
colorati, con diversi sapori, che sono poi gli arrangiamenti.
Stasera abbiamo sentito diversi arrangiamenti. Abbiamo fatto una
canzone rock, una canzone stile anni '70, "Ombrelloni", una canzone
samba, brasiliana, cose che a me piacciono, interessano. Anche nei
testi sono molto vario; mi piace essere eclettico anche nei temi che
tratto. C'è un tema solo che io non riesco mai a trattare che è
proprio quello che... "Antonacci"... sa farlo in questo momento
meglio di molti: è il tema dell'amore.»
- Mi dici qualcosa
di Sergio Endrigo?
«Endrigo per me è
quello che oggi per un bambino potrebbe essere Madonna o Justin
Timberlake. Per me è un mito; insieme a lui tanti altri, ma Endrigo
in particolar modo perché aveva una dolcezza ed una semplicità nel
cantare rivoluzionaria. Nei testi lui fu rivoluzionario per l'epoca.
Se leggiamo i testi degli anni '70 ci rendiamo conto che Endrigo fu
uno di quelli che rinnovò il "testo", lo ha arricchito e musicato
con quella pesantezza di cui parlavamo prima. Di lui ho un ricordo
bellissimo perché si prestò a fare questo duetto con me e poi
purtroppo non ha visto la pubblicazione, ma era veramente
contentissimo di questa
collaborazione ed era
sopratutto entusiasta di tornare in studio ed incidere la sua voce.
È stata l'ultima canzone che lui ha inciso prima di lasciarci. Per
me non poteva essere un regalo migliore: come un passaggio di
testimone, ma questo non devo dirlo io, con la grande canzone
d'autore ed un nuovo piccolo cantautore che si accinge ad entrare
nel mondo della musica.»
- Una domanda più
personale: perché non riesci a trattare il tema dell'amore?
«Non riesco a
trattarlo perché come tema è ormai "sdoganato" e saturo. Qualsiasi
cosa ti può venire in mente risulterebbe banale; e questo è il primo
ostacolo. Il secondo perché ho molto pudore, in realtà, di mettere
in piazza i miei sentimenti. Non capisco, anzi, quelli che lo fanno
e li giudico spesso degli affabulatori. Ho molto pudore dei miei
sentimenti, perché devo andarli a raccontare alle persone. È
purtroppo una mia "fissa". So che questo va poi ad inficiare le
vendite dei dischi, visto che il tema più trattato delle canzoni per
assurdo è l'amore. Cerco di trattare l'amore in altri modi. Vedi, la
canzone "Angelo custode", quella del custode del museo che si
innamora della statua, anche quella è una canzone d'amore; però è
l'amore visto sotto un altro punto di vista, un'altra angolazione.»
- Due domande in
una: cosa c'è nella valigetta e cosa c'è nel Simone Cristicchi di
domani?
«Nella valigetta
c'è il ricordo di questa esperienza, di questo successo improvviso,
cercato, voluto con tanta pazienza e con tanta tenacia. Il ricordo
di tante soddisfazioni che mi sono preso alla faccia di tante
persone che in passato mi avevano chiuso la porta in faccia. Ho
impiegato otto-nove anni per pubblicare questo disco. Mi ritengo un
laureato; lo stesso periodo di un laureato, magari in architettura.
Nella valigia ci sono i ricordi di un'estate folle: passare
dall'anonimato alla popolarità in così breve tempo... devo dirti che
è una strana sensazione a cui non riesco ancora ad abituarmi. Nel
futuro c'è lo spettacolo a cui tengo particolarmente, "Centro di
Igiene Mentale", che porteremo nei teatri. Uno spettacolo che mi
vede più come attore, narratore, raccontatore di storie, che come
cantante. Sono poche canzoni e tante parole, tanti racconti. Ci sono
delle lettere scritte dai malati di mente, ci sono fotografie che
mostro attraverso un proiettore. Ci sono brividi di emozioni per le
storie dimenticate di queste persone fragili, deboli, ma che
veramente (pausa di commozione, ndr) hanno insegnato più a me
che io a loro, quando sono stato insieme a loro.»
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