Lasciò
l'ambiente contadino in cui era cresciuto per andare al Liceo Artistico di Palermo, dove si diplomò nel 1947. Nel 1959
fu a Vienna per partecipare alla mostra internazionale Giovane Pittura Italiana. Nel 1964, su invito del governo
tedesco, tenne una personale di sessanta disegni a Berlino e nello stesso anno espose a Dresda. Nel 1965 tornò in
Germania per partecipare all'Intergrafik 65 di Berlino ed alla mostra internazionale di grafica di Leipzg.
Nelle
numerose mostre italiane ed estere che tenne poté, inoltre, contare sui contributi critici di alcuni importanti
intellettuali, quali Leonardo Sciascia, Santo Calì, Giuseppe Bonaviri, Gabriele Mucchi, Franco Solmi, Mario Lepore e
David Alfaro Siquerios. Bisogna dire, però, che queste sue frequentazioni non lo allontanarono dai personaggi, dalle
case e dalla campagna di Militello.
Dopo
le grandi grafiche in cui il prevalere dei neri dettero uno dei toni più severi ed epici al racconto delle lotte
contadine venne, negli anni settanta, la crisi ideologica, culminata con la mostra L'uomo, la natura, la
violenza. Così, negli ultimi anni, i suoi paesaggi, più che proporre banali riproduzioni, acquistarono
un'intensità cromatica, da cui traspariva un furor elegantis iudicii, capace di scardinare le forme più
consuete e di plasmarle in un nuovo ordine ed in una nuova logica.
Morì
travolto da un treno, mentre attraversava distratto un passaggio a livello incustodito, andando nella sua casa di
campagna. Probabilmente, i suoi pensieri s'erano persi dietro le linee del prossimo quadro da dipingere.
Nato nel 1924, egli lasciò
la natia Militello per frequentare il liceo artistico di Palermo, dove si
diplomò nel 1947, quando nell'arte e nella cultura italiana ferveva l'impegno
politico. Nella figurazione, in particolare, Renato Guttuso ed i suoi sodali di
Corrente avevano lasciato i narcisistici contorcimenti di molta avanguardia e
volevano porre l'evidenza dei drammi collettivi. Così, una prestigiosa schiera
di artisti (Guttuso, ma pure Levi, Migneco, Treccani e tanti altri), oltre a
riproporre il figurativismo, riecheggiarono l'espressionismo tedesco, che con la
sapiente alterazione delle linee e dei colori aveva dato l'esempio di una
tecnica da cui risulta esplicita la posizione politica. Era quindi naturale che
Santo Marino, meridionale e figlio di contadino, concepisse l'arte come un'arma
di lotta e di riscatto, accostandosi fin dagli esordi ai moduli tecnici
dell'espressionismo mediterraneo. «Il problema - disse in un'intervista del
1987, ma avrebbe potuto dirlo anche quarant'anni prima, - per me come per ogni
altro artista, è solo quello di conoscere; e certo conoscere è trasformare».
Fu questo il presupposto
per cui l'attività espositiva finì spesso per coincidere con la militanza
politica. Anche nei riscontri in termini di successi e di esposizioni ufficiali.
Nel 1959, infatti, il maestro fu a Vienna per partecipare alla mostra
internazionale "Giovane pittura italiana". Nel 1964, su invito del governo della
Germania comunista, tenne una personale di sessanta disegni a Berlino e nello
stesso anno espose a Dresda. Nel 1965 tornò in Germania per partecipare all'"IntegrafiK
65" di Berlino ed alla mostra internazionale di grafica de Leipzg. Nelle
numerose mostre italiane ed estere che tenne poté, inoltre, contare sui
contributi critici di molti intellettuali cari alla Sinistra, quali Leonardo
Sciascia, Santo Calì, Giuseppe Bonaviri, Gabriele Mucchi, Franco Solmi, Mario
Lepori e David Al faro Siquerios. Bisogna dire, però, che egli (forse proprio
per queste frequentazioni) si allontanò raramente dai personaggi, dalle case e
dalla campagna della sua piccola Militello.
«Anche quando dipingo una mosca -
affermò - voglio che sia una mosca militellese». Volle
perciò proporre una sicilianità non banale, nel senso che il suo concetto di
appartenenza alla terra d'origine era molto vicino alla sicilitudine definita da
Leonardo Sciascia, che era una particolare predisposizione d'animo, o meglio
ancora, un particolare modo d'interpretare il mondo. L'itinerario artistico di
Santo Marino, quindi, cominciò con certe figure di contadini, che (superando la
rabbia del Guttuso più propagandistico) volevano trasmettere soprattutto un'idea
di gravità, di virilità e di umanità capace di dominare sulla sofferenza. Con
gli occhi, soprattutto. Negli sguardi di questi uomini leggiamo lo sbigottimento
ed il sogno. Guardano e sono guardati pensando che l'ingiustizia può essere
battuta mostrandone le vittime. C'è in ciò un ottimismo storico di fondo, perché
conseguentemente il progresso viene visto come uno svolgersi ineluttabile, al di
là di tutte le momentanee contraddizioni. Si potrebbe quasi dire che l'ottimismo
di Marino, per sua stessa ammissione, fu un ottimismo cristiano. Anche quando
dipinse la natura, Marino in qualche modo alfiereggiò. Si guardi per capirlo, il
catalogo delle opere esposte nelle mostre "Antologia del mare" e "Omaggio a
David Al faro Siquerios", tenutesi ambedue negli anni settanta, presso la
galleria "Cavallotto" di Catania.
Con sintesi audaci, che non
disdegnarono di risolversi in volute astratte ed eleganti, egli tentò di
cogliere l'anima individualistica dei paesaggi, il loro primo palpito e la vita.
Il suo vitalismo non gli impedì, d'altra parte, momenti teneri quando dipinse i
bambini, gli innamorati, il candido vibrare delle ali di una colomba. E
probabilmente in questi va cercata la continuità stilistica con le opere dipinte
dopo la crisi ideologica, culminata sempre negli anni settanta e sempre presso
la galleria "Cavallotto", nella mostra "L'uomo, la natura, la violenza". Negli
ultimi anni, così, i suoi paesaggi acquistarono un'intensità cromatica, da cui
traspariva un "furor elegantis iudicii" sempre più accentuato. Il mare, gli
ulivi, i fichidindia, i limoni, le spighe di grano, le fughe di tegole sui
tetti, gli umili arredi delle dimore contadine, le balaustre di ferro battuto e
tutta l'inesauribile ricchezza di figurazioni siciliane furono portati in una
dimensione magica.
(A
cura di S.P. Garufi)
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