(la vera storia della questione religiosa di Mortarello)

di Nicolino Stellario

XIV

(mercoledì 18 ottobre 2006)

La Casa della insofferenza mariana più che puntare sulla maestosità e l’imponenza, così come era avvenuto per il Museo della Parolaccia, fu costretta giocoforza ad affidarsi al motto “piccolo è bello”. Le grotte e i cunicoli erano alquanto angusti, per cui si pensò ad un percorso su cui indirizzare, in una sorta di passaggio obbligato, i visitatori del sito, in gran parte sotterraneo. Le “catacombe mariane”, come vennero spregiativamente denominate dagli avversari, divennero il rifugio di una miriade di graffiti, disegni, quadri, pastelli, stampe, schizzi, sculture e quant’altro di figurativo rappresentasse la giusta reazione mariana ad una indegna azione nicolina. Su tutti gli architravi degli ingressi era stata stampigliata, inoltre, la frase “Viva Maria”, per cui non era raro che i visitatori vi sbattessero inavvertitamente il capo leggendovi contemporaneamente quelle parole dall’indubbio effetto mnemonico. La raffigurazione vera e propria consisteva sempre nel trionfo di uno o più mariani sugli emuli di San Nicolò dopo uno spernacchiamento pubblico, un inseguimento coi forconi, un duello rusticano all’arma bianca, un litigio in famiglia, una disputa sui fuochi, un braccio di ferro o una partita a briscola con carte ovviamente di tipo o “mariano” o “nicolino”.

Le due nuove entità religioso-culturali di Mortarello ebbero però da subito il problema della sopravvivenza. Dato per scontato che la maggior parte dei fondi erano fagocitati dagli spettacoli pirotecnici, dalle fiere paesane e dai vari musicanti che allietavano la popolazione nei giorni della festa, ci si dovette industriare alquanto per mantenere le prestigiose istituzioni. Una soluzione sembrò essere il l’Otto inventato dai mariani, ai quali i nicolini opposero subito il DiciOtto, che però rimasero sempre in un ambito clandestino, nonostante le due fazioni avessero tentato di accaparrarsi la protezione e l’avallo del Marchese Fortebaldo, il quale preferì sempre il Lotto della televisione di Stato. Ci si rivolse allora alla Regione Siciliana, molto famosa per la sua prodigalità, che promise ai due organismi un contributo annuo di 10 chili di spaghetti, un litro d’olio buono, tre chili di pane casereccio, frutta di stagione, sale quanto basta, a condizione che i due musei fossero aperti al pubblico almeno tre giorni l’anno e che soprattutto non fossero usati né conservanti né coloranti.

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